Introduzione: Ricordo come se fosse ieri quel giorno che, dodicenne, rientrata a casa da scuola, ricevetti dai miei genitori quel libro di Franz Farga, “Geigen und Geiger” (Violini e Violinisti) che da tanto speravo. Il mio occhio cadde irrimediabilmente sul capitolo che narra la vita di Paganini, e che lessi avidamente: ne ero rimasta affascinata a tal punto che quel giorno ho dimenticato di fare i miei compiti, ne ho studiato per la lezione di violino l’indomani…
Quel giorno fu l’inizio di una lunga strada che tuttora percorro. Chi era Niccolò Paganini, questo mago, ammirato, temuto ed anche odiato dai suoi confratelli compositori e musicisti contemporanei? Schubert, Schumann, Liszt, Heine, Hoffmann, Grillparzer, Rossini, Brahms… i più grandi romantici sono stati influenzati da questo violinista, prima che fosse disdegnato per quasi due secoli, perché la sua musica veniva improvvisamente considerata “troppo virtuosistica”. Un personaggio seppellito da miti e leggende, che cambiò per sempre il firmamento dei musicisti, tale una cometa, lasciando una lunga traccia luminosa dietro di se.
Qual è la parte del mito e quale sarebbe la realtà? Ecco un primo capitolo, una specie di introduzione, di una lunga storia che non mi libererà probabilmente mai….
“… Quando Paganini salì sul palcoscenico il 29 maggio 1828, la sala era stracolma.
L’orchestra, composta dai migliori musicisti di Vienna, aveva inaugurato la serata con l’ouverture del “Fidelio” di Beethoven, prima di iniziare una breve introduzione intitolata “Allegro Maestoso”.
Solo ora Niccolò Paganini era salito sul palcoscenico, senza fare rumore, alto, magro come uno scheletro, col viso lungo e pallido, un naso aquilino, degli occhi scintillanti e capelli lunghi neri che gli cadevano fin sulle spalle.
Quando salutò il pubblico, si sarebbe potuto credere che le sue lunghe braccia avrebbero potuto staccarsi dal resto del corpo. Ma il pubblico non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi e di prendersi gioco del violinista. Aveva già posato l’arco sulle corde… (…) ed ecco che le prime note, piene di audacia e di fuoco volavano nella sala. Immediatamente la magia avrebbe agito.
Era per davvero un violino? Chi aveva mai ascoltato un violino prima? Che grandezza, che perfezione. L’arco pareva interminabile, ed il musicista gli lasciava colpire le corde come una frusta. Ottave, decime ad una velocità incredibile, salite polifoniche come perle frizzanti: eppure ogni singola nota era chiara e potente. Arpeggi, eseguiti con la metà dell’arco solo, che sembravano suonati su un’arpa gigante, passaggi di semicrome e biscrome, una nota pizzicata di tanto in tanto, le altre suonate con l’arco che rimbalza, tale una cascata spumeggiante, suonate ad una velocità mai sentita prima… gli spettatori trattengono il loro respiro…”
Franz Farga, “Geigen und Geiger” – 1983
Questo racconto romanzato racchiude dettagli ed estratti da contemporanei che avevano assistito dal vivo ad uno o più concerti del grande Maestro Ligure. Non si trattava certamente di piccoli romanzieri della domenica o giornalisti di bassa estrazione, ma di importantissime personalità del tempo: così per esempio Heinrich Heine parla di Paganini per quasi un capitolo nella sua novella “Florentinische Nächte” e Robert Schumann fece apposta un viaggio ininterrotto di tre giorni e tre notti in carrozza per ascoltare un concerto dal vivo, vendendo anche l’orologio pur di assistere a ciò che considerava “un concerto inspiegabile, durante il quale eravamo stati incatenati da catene invisibili…” Franz Schubert racconta di aver tolto gli occhiali per “vedere meglio gli angeli che emergevano da quel violino” mentre suonava Paganini. Franz Grillparzer ascolta il secondo concerto viennese e gli dedica una poesia, Franz Liszt assiste a tutti i concerti possibili, prima di trascrivere liberamente qualche opera di Paganini per pianoforte solo, in breve tempo anche i più scettici ammettono che non si tratta di un ciarlatano, ma per davvero di un fenomeno inspiegabile che ha ri-inventato il violino, dandogli la sua tecnica tuttora attuale.
Mille leggende nascevano attorno a Paganini. Per esempio si diceva di lui che avesse imparato a suonare così perché aveva trascorso 10 anni della sua vita in prigione per aver assassinato la sua amante, oppure che avesse fatto un patto con il diavolo, vendendo la sua anima e quella di sua madre, una donna per altro molto pia. Si dice di lui che fosse un feroce uomo d’affari, tirchio, che fissava dei prezzi astronomici per i suoi concerti, ma queste stesse persone che raccontavano questo fatto, dimenticano di menzionare gli innumerevoli concerti in beneficenza e visite in ospedali di poveri che Paganini fece durante tutta la sua vita.
Si dice inoltre che gli piacesse andare a suonare in cimiteri di notte, che la sua magrezza estrema fosse la prova della tubercolosi e che non gli restasse più che qualche mese di vita, anzi, che fosse già morto, e che venisse anche sul palcoscenico sovente con occhiali con vetri scuri, per nascondere gli occhi rossi del diavolo che aveva preso possesso di lui…
In effetti lui coltivava queste leggende con molta cura, questo faceva parte del personaggio. Rimasto in Italia per quasi tutta la sua vita, passò i suoi ultimi 12 anni di vita in un trionfo europeo durante il quale ha trascinato le folle: tutto era “à la Paganini” come lo testimoniano diversi giornali d’epoca. Menù, dolci, pettinature, vestiario, caricature… Oggi si potrebbe paragonare questa fissazione del pubblico con la frenesia per una star, oppure con un hashtag che gira su twitter.
Ed infatti solo pochi hanno avuto il privilegio di conoscere Paganini da vicino, di vedere che persona modesta era in realtà, e quanto faticasse per mantenere vivi i miti attorno alla sua personalità. Fra i suoi più cari amici, l’avvocato genovese Luigi Germi col quale intratterrà un lungo scambio epistolare per oltre vent’anni, e nientemeno che Gioacchino Rossini, col quale collaborò anche come direttore d’orchestra nella creazione di diverse sue opere.
Di carattere profondamente genovese, Paganini era di natura diffidente e schivo. Pochi sono stati gli sguardi autorizzati dietro le quinte, che abbiano potuto riferire della sua malinconia e della sua solitudine, delle sua malattie e sofferenze, del suo amore incondizionato per suo unico figlio, chiamato affettuosamente Achillino, della sua generosità, della sua passione per l’opera italiana e per la musica da camera – in particolare i quartetti di Beethoven – l’attenzione particolare che mostrava per i giovani compositori e musicisti, l’amore per la buona cucina (magari genovese), la sua preoccupazione continua per la madre…
Negli ultimi 12 anni della sua vita, i più gloriosi, ha pagato con la salute il suo successo, dando quasi 300 concerti all’anno, cosa completamente impensabile con la difficoltà di viaggiare in un’epoca nella quale certo non esistevano aerei o treni.
Con lui sempre il violino, prezioso Guarnieri del Gesù del 1742, chiamato da lui “Il Cannone”, una bisaccia piena di spartiti e qualche ricordo. Si racconta della sua agenda rossa, un quaderno nel quale segnava tutto, una specie di diario nel quale segnava informazioni importanti, annotazioni, conti, ma ci teneva anche parole e poesie scritte dai suoi più cari amici, che aspettavano preoccupati il suo rientro, rimedi casalinghi contro malattie, ricette “di cucina di casa” ed un piccolo pezzo di merletto del vestito da sposa di sua madre. I suoi occhiali, qualche libro, un baule con le prime necessità, viaggiando da città in città freneticamente senza mai permettersi il minimo riposo…
Dopo la sua morte, le leggende hanno nascosto la sua opera, abbassando le sue composizioni a semplice musica “ultra virtuosistica” e senza interesse musicale. Ormai più di due secoli dopo è ora di cercare la verità e separare la leggenda dalla realtà per restituire a Niccolò Paganini il suo giusto posto nella storia della musica.
Questo articolo sarà il primo di una serie che scriverò nei prossimi mesi.
Vorrei esplorare, al di là delle semplici date storiche e dei fatti tecnici, chi era esattamente Niccolò Paganini: grande personaggio che ha rivoluzionato il violino in modo definitivo, sia dal punto di vista strettamente violinistico, che dal punto di vista strumentale, (quando per esempio ha collaborato con Jean Baptiste Vuillaume), genovese, romantico, ispirato dal bel canto e dall’opera Italiana, artefice di una rivoluzione, ispiratore per i suoi contemporanei, praticamente un vero eroe “Sturm und Drang”, sempre in cerca della meta…
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